Una prospettiva femminile
La fotografia come supporto del cambiamento
Donne fotografe che raccontano le lotte degli esseri umani
Donne fotografe che raccontano le lotte degli esseri umani
Avviso sui contenuti: In questo capitolo è stata inserita e descritta una foto storica dal contenuto disturbante di parti del corpo mozzate. Siamo consapevoli che l'inclusione dell'immagine può causare estrema tristezza o disagio. Abbiamo scelto di includerla per dare risalto a un periodo orribile della storia e al suo legame con la fotografia.
Quando la fotografia si è spostata dallo studio ai luoghi esterni, le donne hanno contribuito al lancio di un altro genere fotografico: la fotografia documentaristica. Questo approccio mette in luce questioni sociali nascoste o sconosciute e può essere utilizzato per promuovere un cambiamento positivo nella società.
Nel 1900, la missionaria britannica Lady Alice Seeley Harris fotografò le atrocità commesse dal Belgio contro la popolazione locale nello Stato Libero del Congo. Il suo lavoro è oggi considerato una delle prime campagne fotografiche a sostegno dei diritti umani.
La foto riportata in alto è stata scattata il 15 maggio del 1904 e ritrae un padre di nome Nsala mentre guarda la mano e il piede della figlia di cinque anni che sono stati amputati dai soldati della Abir Congo Company per non aver raccolto abbastanza gomma dagli alberi. Altri due congolesi del luogo lo guardano con un'espressione grave sul volto.
L’impatto delle immagini di Lady Harris contribuì a cambiare il modo in cui la gente concepiva la schiavitù e portò a una crescente pressione internazionale e a un maggiore controllo sulla Compagnia Abir Congo. Questa pressione costrinse infine il re belga Leopoldo II a rinunciare al potere dello Stato Libero del Congo, che passò invece al governo belga.
Altrove, nello stesso periodo, Augusta Curiel era un'importante fotografa del Suriname. La madre di Augusta era nata in schiavitù e del padre non si sa molto. La sua famiglia apparteneva all’élite surinamese.
Nel 1904, in un periodo in cui nel suo Paese circolava poco materiale fotografico, Curiel avviò un'attività di fotografia a domicilio con la sorella Anna. Lavoravano per lo più su commissione per l'alta borghesia ritraendo un quadro idealizzato della società coloniale surinamese. Nonostante ciò, alcune delle loro foto riescono ancora oggi a mettere in luce le differenze di classe e le lotte sociali.
La fotografia in alto mostra le proteste a Paramaribo, in Suriname, nel 1931. Negli anni '30 una crisi economica mondiale seguì il crollo del mercato azionario a New York nel 1929. In Suriname ci furono licenziamenti di massa in tutti i settori dell'agricoltura e dell'industria delle materie prime. Non esistevano assicurazioni sociali, gli alloggi e l'assistenza sanitaria non erano adeguati. L'amministrazione coloniale, inoltre, non adottava misure soddisfacenti per sostenere i disoccupati, provocando invece rivolte a causa della fame e proteste per le strade.
Sebbene le sorelle fossero molto lontane dalla classe operaia, il loro lavoro mette in luce le loro battaglie.
Anche quando i fotografi intendono documentare le lotte sociali nel tentativo di contribuire al cambiamento, come ha fatto Lady Alice Seeley Harris, non sempre questo si rivela facile. A volte le cose si complicano, ad esempio, quando il soggetto della fotografia stesso si esprime. Prendiamo il caso di Dorothea Lange.
All'inizio degli anni ‘30, circa 14 milioni di americani rimasero senza lavoro e tre milioni di persone emigrarono in California alla ricerca di nuove opportunità. La fotografa ritrattistica di Dorothea Lange lasciò lo studio per documentare le loro vite.
Una delle sue opere più iconiche è Migrant Mother (la Madre Migrante), pubblicata nel 1936. Ecco il racconto di Lange sull'incontro con il soggetto di questo ritratto.
'L'ho vista e mi sono avvicinata alla madre affamata e disperata, come attratta da una calamita. Non ricordo come le spiegai il motivo per cui mi trovassi lì con la mia macchina fotografica, ma ricordo che non mi fece domande. Ho fatto cinque scatti, avvicinandomi sempre di più. Non le chiesi il suo nome o la sua storia. Lei disse che aveva trentadue anni. Mangiavano le verdure surgelate dei campi circostanti e gli uccelli uccisi dai bambini. Per comprare del cibo aveva appena venduto le gomme della sua auto. Stava seduta in quella sorta di capanna con i figli accalcati intorno a lei e sembrava capisse che le mie foto potevano aiutarla, e così mi aiutò. In qualche modo entrambe ci siamo state utili a vicenda'1
Lange denunciò le condizioni al direttore di un giornale di San Francisco. Le autorità federali furono informate e fu pubblicato un articolo con alcune delle immagini scattate da Lange, tra cui quella della Madre Migrante. Si ritiene che sia stato questo a spingere il governo a inviare aiuti al campo per evitare la morte dovuta alla fame.
Sebbene Lange non le abbia chiesto il nome, oggi sappiamo che la donna nella fotografia era Florence Owens Thompson, di origine Cherokee. In un'intervista del 1978 al Los Angeles Times, la Thompson ha dichiarato: 'Non ne ho ricavato nulla. Avrei preferito che non mi avesse scattato nessuna foto. Non mi ha chiesto come mi chiamavo. (...) Diceva che non avrebbe venduto le foto e che me ne avrebbe mandato una copia. Ma non ho mai ricevuto nulla.'2
In un'altra intervista, la Thompson si è lamentata:
Sono stanca di essere il simbolo della povertà umana ora che le mie condizioni di vita sono migliorate.3
La Thompson è stata una dei pochi soggetti della fotografia documentaristica a parlare della propria esperienza. Le sue parole cambiano il modo in cui oggi vediamo la sua immagine e per questo abbiamo deciso di non includerla.
In altri luoghi, le donne hanno puntato la fotocamera su loro stesse per documentare le proprie esperienze, combattere gli stereotipi e mettere in luce questioni sociali all'interno delle loro comunità.
La fotografa Brenda Patricia Agard è stata una delle tante donne nere attive negli anni '80 nel Regno Unito. Nel 1985 ha partecipato a "Mirror Reflecting Darkly", una mostra collettiva che mirava a valorizzare la diversità delle donne nere e a infrangere gli stereotipi e le aspettative della gente. È stata anche membro del "The Black Photographer Group", il cui obiettivo era includere la fotografia dei neri negli ambienti artistici della Gran Bretagna.
Nell'immagine in alto, Agard è stata immortalata per le strade di Londra mentre istruisce degli studenti sulla fotografia di strada come parte di un programma educativo per la mostra "Testimony: Three Blackwomen Photographers: Brenda Agard, Ingrid Pollard e Maud Sulter". Sull'altro lato della strada, possiamo vedere un manifesto pubblicitario con la didascalia "Put yourself in the picture", che vuol dire “mettiti in mostra”.
Una sua contemporanea, la fotografa ghanese-scozzese Maud Sulter, è stata premiata rappresentando la Gran Bretagna alla prima Biennale di Johannesburg nel 1995 con la sua collezione sulle storie dei neri durante l'Olocausto.
Il lavoro di Sulter sovverte le tradizionali rappresentazioni delle donne nell'arte occidentale. Anche lei era interessata a metterle in mostra, le donne nere, dicendo:
Questa nozione di scomparsa, credo, è qualcosa che ricorre nel mio lavoro. Sono molto interessata all'assenza e alla presenza, al modo in cui, in particolare, l'esperienza delle donne nere e il loro contributo alla cultura vengono spesso esclusi ed emarginati.4
Approfondiamo il tema delle donne che si autofotografano, esplorando l'identità e smontando gli stereotipi, nel capitolo finale di questa mostra - Così com' è - l'autoritratto femminile.
1 https://lareviewofbooks.org/article/migrant-mother-dorothea-lange-truth-photography/
2 https://mymodernmet.com/dorothea-lange-migrant-mother/
3 https://lareviewofbooks.org/article/migrant-mother-dorothea-lange-truth-photography/
4 https://artuk.org/learn/learning-resources/maud-sulter-and-the-subversive-portrait